METODO
Rivista di architettura, politica internazionale,
storia, scienze e società
fondata da Pier Luigi Maffei
N. 13/GIUGNO 1997, X
N. 14/Dicembre 1998, XI


Ponte del diavolo (Borgo a Mozzano - Lucca)


INDICE GENERALE

N. 13 - Giugno 1997, Anno X

Direttore responsabile: Dr. Giovanni Armillotta

Direttore editoriale: Prof. Ing. Pier Luigi Maffei

Redazione: METODO Associazione Socioculturale, 56017 Gello (S. Giuliano Terme), Via Ulisse Dini 66, tel. +39.050.815225

Registro dei Periodici del Tribunale di Pisa: n° 13 dell'8 agosto 1988


INDICE


GIOVANNI ARMILLOTTA
L'architettura tra futurismo e realismo socialista

Come ricorderanno i lettori, lo scorso numero lo abbiamo dedicato al grande architetto futurista Antonio Valente, nel centenario della nascita. La scelta attuale - pur articolata in temi di stretta attualità - non prescinde dall'aspetto tipicamente monografico della nostra rivista; rappresenta, anzi, uno stimolo per trasporre il soggetto da letterario ad iconografico, attraverso due appuntamenti di altissimo livello italiano e mondiale, strettamente legati fra loro.
Dal 5 aprile al 29 giugno 1997, la torinese Accademia Albertina delle Belle Arti ­ in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte ed il Museo Statale di Architettura e per la Ricerca Scientifica A.V. Šcusev di Mosca ­ ospita il maggior evento culturale dell'anno, la mostra U.R.S.S. anni '30-'50. Paesaggi dell'utopia staliniana e, contemporaneamente, la capitale russa celebra il suo DCCCL anniversario.
Il nostro collaboratore, Francesco Noja, recatosi appositamente a Torino, ha portato con sé indelebili impressioni e lo stupendo catalogo della mostra, curato impareggiabilmente da Alessandro De Magistris ed edito dalla Mazzotta. Gli ho affidato la monografia iconografica affinché dopo il successo ottenuto dalla precedente rassegna futurista di «Metodo» («Corriere della Sera», «La Nazione», ecc.), Noja, per mezzo di una personale applicazione dell'immagine al testo, faccia riferimento all'arte di realismo socialista come «il ritorno del soggetto e del tema», «la predominanza del tipo nuovo», manifestantisi «mediante i codici della narrazione lineare» (Josette Bouvard).
Lo scorcio di millennio non può che condurci al pensiero di Sant'Elia (1914), e quel «balordo miscuglio dei più vari elementi di stile [...] chiamato architettura moderna» sarà sconfitto più tardi dal futurismo italiano degli anni Trenta-Quaranta e dall'accademismo moscovita, portatori dei più alti valori architettonici ­ a mezza strada fra «un'arte formatasi sulla base dell'edilizia» (I.L. Maca) e «un'attività che crea l'ambiente spaziale materialmente organizzato, la sfera di azione fra i vari processi del lavoro, della vita quotidiana e della cultura» (K.A. Ivanov).
Se Emilio Tadini sul «Corriere della Sera» (15 maggio 1997), ci ricorda come la scuola italiana del Ventennio abbia influenzato l'architettura sovietica, d'altro canto è emblematica la scelta di Noja nel porre in prima pagina il progetto di B. Iofan, A.V. Šcuko e V. Gel'frejch al concorso per il Palazzo dei Soviet. Opera, che pur potendosi definire espressione del "classicismo", andava intesa come «la perfezione classica di una mentalità e non come una semplice utilizzazione di qualunque forma antica solo perché classica» (A.V. Šcusev, 1933): in queste parole il rifiuto di Sant'Elia alle egizianerie, ai bizantineggiamenti, ed allo «sbalorditivo fiorire di idiozie e di impotenza che prese il nome di "neo-classicismo"» acquista un riconoscimento epocale, sia pure a distanza di diciannove anni. Non per nulla il concorso rappresenta a tutt'oggi una pietra miliare nella storia dell'architettura di questo secolo. Esso segnò la fine dell'avanguardismo non soltanto in Unione Sovietica, ma pure ad Ovest, ponendo termine alla reciproca opposizione fra l'architettura d'avanguardia e lo storicismo caratterizzante gli anni Venti. «Si generò un fenomenale rifiuto della nuova architettura in favore della valorizzazione dell'eredità classica, che creò come risultato una tendenza architettonica "degli anni Trenta", unica nel contesto internazionale, in quanto fusione originale di architettura moderna e storica» (Igor' Kazus'). Di conseguenza l'adozione della maestosità classica degli anni Trenta-Cinquanta ­ contrapposta agli effetti minimi del neo-classicismo ­ si poneva perfettamente nell'alveo dell'arte di realismo che abbisognava di essere nazionale nella forma e socialista nel contenuto. «La sostituzione dei modelli utopistici che avevano caratterizzato il periodo staliniano cambiò il tipo di richieste e l'orientamento del lavoro architettonico. L'utopia socialista degli anni di Chrušcëv non superò il livello del quarto piano» (Andrej Ikonnikov).


PIER LUIGI MAFFEI
L'analisi del valore per la qualità di costruzioni e servizi

Capita spesso in Italia che i progetti di lavori pubblici vengano affidati a progettisti senza una completa definizione delle esigenze e dei requisiti e che essi si mettano quindi all'opera, informandosi direttamente, prefigurando situazioni non esplicitate dalla committenza e pertanto basate su personali conoscenze ed esperienze.
Capita altrettanto frequentemente che il progetto rimanga a livello "di massima", senza cioè quella definizione che si dovrebbe richiedere, tipica della progettazione operativa, ottenibile solamente con apporti disciplinari plurimi, per gli aspetti che vanno dal calcolo strutturale ed impiantistico alla preventivazione dei costi e alla programmazione dei tempi di realizzazione. Il risultato è che i capitolati di appalto presentano voci approssimative assunte da capitolati standard e che i computi metrico-estimativi risentono di valutazioni approssimative. Da qui ne discende che non potrà destare meraviglia il fatto che le realizzazioni si presentino carenti, prive dei necessari requisiti, lasciando pertanto a desiderare sotto il profilo prestazionale oltre che ottenute a costi di impianto decisamente superiori al preventivato, senza garanzie di durabilità, di manutenibilità e di contenimento in limiti logici ed accettabili dei costi di esercizio.
Per questi motivi, e per altri di seguito espressi, risulta utile introdurre anche nel settore delle costruzioni civili e delle prestazioni di servizi il metodo dell'analisi del valore che, se introdotto anche in Italia, consentirebbe di superare molti dei ricordati inconvenienti e di ridurre il costo globale delle opere, somma di quello di realizzazione e di esercizio nella vita utile del prodotto (life cycle cost).
Dal momento che troppo spesso i concetti di "valore" e di "qualità" vengono confusi, ripartiamo dalle definizioni:

valore - è il rapporto tra il costo dell'utilità della funzione considerata, intesa come minimo prezzo che saremmo disposti a pagare per l'esplicazione di quella determinata funzione, ed il costo del bene o servizio che assicura la funzione esaminata;

qualità - è la totalità degli attributi e delle caratteristiche di un prodotto o servizio che concorrono alla sua capacità di soddisfare esigenze specificate o implicite.

Alla luce di dette definizioni, si scopre che un intuitivo concetto di valore era ben presente all'uomo, magari nell'inconscio, fin dai primordi, quando venivano effettuati i baratti di prodotti in rapporto all'uso e quindi all'utilità dello stesso, dando cioè ad ogni prodotto un valore in rapporto alla funzione. Ma ciò si verificava anche nell'ambito delle costruzioni in quanto, fin dalle origini della presenza umana sulla terra, la costruzione nasceva e diventava sinonimo di rifugio o di monumento celebrativo, abbinando al concetto di utilità, e quindi di valore, anche quello di qualità dell'opera realizzata.
Valore, quindi, in rapporto alla qualità delle funzioni che un prodotto consente di esplicare e qualità di un prodotto in termini di rispondenza tecnologica, trattandosi di garantire la sicurezza, la funzionalità, il decoro nell'aspetto, la manutenibilità e la durabilità a garanzia di mantenimento di un elevato valore economico del bene, nel tempo.
Oggi, nell'epoca caratterizzata dai rapidi mutamenti, alla innovazione tecnologica si riscontra che non viene sempre a corrispondere una qualità del prodotto; ciò per difetto di progettazione, errato accostamento di materiali incompatibili, incapacità costruttiva ed anche, purtroppo, per motivi di ordine etico e professionale.
Da qui la necessità di rivedere i ruoli dei vari attori e operatori del processo delle costruzioni civili e di darsi regole per addivenire ad un nuovo, ben più maturo, codice comportamentale, tale da consentire la qualificazione di tutti gli aspetti dell'"arte del fabbricare".
Sulla base delle definizioni date, si evince quindi che il metodo dell'analisi del valore, così come verrà ora qui di seguito definito, è uno strumento per il perseguimento della qualità di un prodotto o di un servizio, consentendo di addivenire a soluzioni che a parità di funzioni, se non con miglioramento funzionale, comportano un più contenuto costo globale del bene considerato.
L'analisi del valore consiste, infatti, in una attività organizzata di un gruppo pluridisciplinare, costituito da esperti e non, coordinato da chi conosce il linguaggio delle varie discipline e sa portare a sintesi il lavoro svolto collegialmente dai membri componenti, chiamati ad analizzare le funzioni del prodotto o del servizio, allo scopo di ottenere le prestazioni essenziali al più basso costo globale possibile, compatibilmente con i requisiti richiesti ed i livelli di funzionalità, affidabilità, qualità, e sicurezza definiti nelle specifiche, livelli che si intendono quindi riscontrare in sede di collaudo.
Con l'analisi del valore le attenzioni si concentrano quindi sulle funzioni che un determinato prodotto o servizio deve esplicare per soddisfare alle esigenze del committente e del fruitore, in rapporto a quanto il primo è disposto a pagare per la realizzazione ed il secondo per la gestione e l'esercizio.
In progettazioni complesse, quali le progettazioni ospedaliere, i risultati che si possono ottenere a vantaggio della comunità sono notevoli.
Pur non essendo una "caccia agli errori", ma un valido apporto collaborativo per il gruppo di progettazione, spesso avviene che il lavoro degli analisti del valore consente anche di eliminare errori di progettazione, evitando di conseguenza carenze, vizi e difetti nel prodotto o nel servizio preso in esame. In questo senso si è allora in presenza di uno strumento utile per garantire la qualità del bene considerato.
Non è infrequente che l'industria meccanica richieda ad un gruppo di analisti del valore di valutare il processo di produzione per ridurre difettosità riscontrate dai clienti nel prodotto o per meglio soddisfare le esigenze del cliente, cosa indispensabile in regime di libero mercato. In questo senso il ricorso al metodo diventa una scelta strategica del produttore che vede evolvere il mercato verso la richiesta di una sempre maggiore affidabilità del prodotto. Per una ditta di elettrodomestici fu messo al lavoro un gruppo di 7 persone: un ingegnere con il ruolo di coordinatore, un progettista, un impiantista, un esperto di macchine ed attrezzature di produzione e tre non esperti: un fornitore, un tecnico della ditta ed un cliente. In sette riunioni di sei ore ciascuna, in due mesi, furono formulate proposte che hanno comportato migliorie ed economie pari al 15% del costo industriale dei componenti analizzati.
L'impresa del settore delle costruzioni civili, che intendesse inserirsi nel sistema qualità, puntando sui miglioramenti del processo produttivo per sempre meglio rispondere sul piano della competitività alle esigenze della committenza e dei fruitori del prodotto, trova quindi nell'analisi del valore una positiva risposta, potendosi giungere, con l'apporto collaborativo dato dagli analisti del valore ai progettisti, ad una progettazione operativa, tale cioè da consentire di portare nelle gare di aggiudicazione degli appalti, elaborati realmente esecutivi in tutti i dettagli, con il minor numero possibile di indeterminazioni.
L'obiettivo non è allora l'abbattimento dei costi, anche se è dimostrato che attraverso questo modo si ottengono delle economie, ma, prendendo a riferimento le funzioni e ricercando il valore delle stesse, l'obiettivo è la qualità del prodotto o del servizio considerato.
In questo senso essa rappresenta pertanto uno strumento per la qualità totale: qualità in tutte le fasi del processo, realizzando anche le condizioni per avere i migliori possibili rapporti fra committenza, gruppo progettuale, fornitori e produttori del bene.


Cenni storici

Le prime applicazioni di analisi del valore furono compiute dagli Statunitensi durante la seconda guerra mondiale, quando divenne impossibile reperire materiali essenziali e si dovettero cercare soluzioni alternative.
Fu Lawrence D. Miles, ingegnere, che nel 1947 sviluppò una metodologia basata sulla ricerca di materiali alternativi, mettendo l'attenzione sulle funzioni che il prodotto doveva esplicare e sul valore della funzione del prodotto stesso. Fu così che la compagnia General Electric ricorse a materiali sostitutivi rispetto a quelli previsti nel progetto originario, materiali che risultarono ugualmente utili, se non addirittura più funzionali alle esigenze, oltre che di costo inferiore.
Questo approccio consentì successivamente di giungere anche ad un controllo della sempre crescente spirale dei costi di impianto e di gestione, assicurando contestualmente all'efficienza e all'attendibilità delle soluzioni, una minore incidenza delle spese di esercizio ed in particolare di manutenzione.
Il metodo dell'analisi del valore si articola in cinque fasi:

1. fase informativa;
2. fase creativa;
3. fase analitico-selettiva;
4. fase di sviluppo;
5. fase di presentazione delle soluzioni alternative.

Nella fase informativa, note le esigenze dei fruitori e degli utenti, si tratta di prendere visione, per esempio, del progetto in iter, evidenziandone le funzioni da assoggettare a giudizio di valore.
Nella fase creativa si suggeriscono soluzioni alternative che soddisfano o migliorano le funzioni.
Nella fase analitico-selettiva si selezionano le alternative e se ne determinano i costi mettendoli a confronto con quelli della soluzione esaminata.
Nella fase di sviluppo si stabilisce l'attuabilità tecnica della alternativa scelta.
Nella fase di presentazione delle soluzioni alternative si evidenziano alla committenza i vantaggi che se ne avrebbero adottandole, sempre in risposta ai requisiti prefissati.
Per esemplificare, nel caso di un progetto edilizio, evidenziate le attività e le unità ambientali, intese come insiemi di attività compatibili, e ciò in rapporto ai requisiti in base ai bisogni e alle esigenze dei fruitori e degli utenti, si analizzano le funzioni assoggettandole a verifiche di rispondenza ai requisiti, in termini prestazionali.
Definita l'utilità (worth) come minimo prezzo che saremmo disposti a pagare per l'esplicazione di quella determinata funzione in esame, in determinate condizioni ambientali, si definisce valore di una funzione il rapporto fra il costo dell'utilità (W) ed il costo dell'oggetto che esplica quella determinata funzione (C):

V = W/C

Ne deriva che un prodotto od un servizio svolge una funzione valida quando V è superiore a 1.
Questi valori vengono pertanto ad essere dei veri e propri indicatori funzionali.
Quando un oggetto ha una sola funzione, la misura dell'utilità della stessa viene a coincidere con l'utilità dell'oggetto stesso.
Una volta definiti gli obiettivi ed espresse le esigenze della committenza e dell'utenza, l'applicazione dell'analisi del valore passa attraverso la risposta a domande rivolte alla definizione delle funzioni esplicate dalle parti di progetto analizzate in successione, chiedendosi:

1. quali funzioni svolgono;
2. quanto costano le opere previste dal progetto che le consentono;
3.
quali valori vi corrispondono o più semplicemente se comportano un valore V >= 1;
4. quali sono le soluzioni alternative che esplicano le stesse funzioni;
5.
quanto costano le opere corrispondenti alle soluzioni alternative.

A questo punto tutte le soluzioni che a parità di funzione, meglio se con miglioramento funzionale, comportano costi globali inferiori rispetto alla soluzione esaminata, vengono sottoposte al vaglio del progettista e della committenza.
Per quanto attiene alla funzione definita dal prodotto o dal servizio, essa viene espressa con un verbo attivo e con un sostantivo misurabile.
Trattandosi di un pannello per controsoffitto si dirà: "assorbe suoni", oppure "protegge termicamente" ecc.
Analizzando un progetto, elencate tutte le funzioni, in risposta agli obiettivi e alle richieste della committenza, si procede alla selezione delle funzioni principali e secondarie, eliminando quelle secondarie non richieste e non ritenute necessarie e ci si interroga sui punti precedentemente espressi.
Stante la definizione, il valore si può aumentare:

a) migliorando l'utilità a parità di costo;
b) mantenendo l'utilità ad un costo più basso;
c) intervenendo su entrambe le entità.

Infine, nel caso del processo edilizio, i principali elementi di articolazione per la determinazione del valore dell'opera sono i seguenti:

­ ambientale in termini di attribuzione di peso in base alla funzione che l'opera viene ad esplicare nell'ambiente naturale e/o costruito, in rapporto all'impatto visivo, al rispetto delle condizioni climatiche, ecc., per la determinazione del valore del quale concorrono condizioni difficilmente riconducibili a codici di riferimento;
­ distributivo-funzionale in termini di accessibilità, di fruibilità di spazi, di presenza di percorsi preferenziali, di dimensioni rapportate al numero degli utenti e alle loro esigenze, di connettivo, di razionalizzazione degli impianti, di flessibilità, di versatilità, ecc.;
­ tecnologico in termini di scelta coordinata di materiali compatibili che danno garanzia di rispetto di requisiti, quali la durabilità, la manutenibilità, ecc.;
­ estetico-formale in termini di qualità artistica, capace di apportare un aumento di valore allo spazio vitale, che, legandosi ad una cultura dei segni oltre che dei comportamenti, faccia assurgere l'edilizia ad Architettura, riconoscendo che con gli standards si realizzano i minimi funzionali, ma non certamente quelle qualità globali che sono tipiche delle opere d'arte;
­ socio-economico in termini di impatto con una realtà sociale che richiede opere sempre e comunque in risposta a bisogni e ad esigenze, ma in stretto rapporto con le risorse economiche disponibili.


FRANCESCO NOJA
Codici di calcolo e fallibilità delle tecnologie asiatiche

Uno degli elementi qualificanti un sistema di progettazione, ormai di uso generalizzato, è l'utilizzo del calcolatore. I risultati ottenuti negli ultimi anni, in tale direzione sono notevoli, grazie ad un consistente sviluppo sia nel campo dell'elaborazione del software che in quello dei microprocessori. Infatti è ormai facile trovare sul mercato codici di calcolo strutturale che possono essere utilizzati su normali personal computer. Tali codici, nello studio della realtà fisica, utilizzano il metodo degli elementi finiti. Ossia, con tale terminologia si indica un metodo attraverso il quale è possibile dare una rappresentazione virtuale dell'oggetto che si vuole studiare.
Senza entrare in tecnicismi appare ovvio che quanto maggiore è il numero degli elementi (per esempio cubetti) in cui viene suddiviso l'oggetto tanto migliori saranno i risultati della sua rappresentazione virtuale e quindi anche delle analisi successive.
Personalmente sono rimasto colpito nell'utilizzo di uno di tali codici poiché i vantaggi offerti sono considerevoli: soprattutto vengono bypassate le difficoltà di carattere matematico riuscendo, quindi, ad ottenere indagini di tipo strutturale molto precise, impossibili da raggiungere per altre vie.
L'uso del personal computer in questo senso costituisce un aspetto molto positivo, nonostante siamo ancora lontani dal parlare di larga diffusione in quanto il bagaglio di conoscenze richiesto per produrre tale tipi di indagini rimane elevato.
Ma lo scopo principale è quello di dare una risposta alla seguente domanda: è possibile con tali tipi di codici progettare una macchina che funzioni per un tempo voluto, prevedendone quindi l'avaria?
La risposta è sicuramente positiva se si conosce con buona precisione la natura delle sollecitazioni a cui è sottoposta. Non ci è certamente sfuggito che negli ultimi anni, troppo spesso si è sentito publicizzare, ad esempio, automobili di marca giapponese e sud-coreana ­ nazioni queste di scarsa tradizione in tale campo ­ garantite per un certo numero di chilometri o anni. Ma siamo sicuri che non si poteva fare meglio?
Al contrario, nel nostro Continente, le esperienze nel campo della meccanica, appaiono consolidate e valide per quanto concerne il settore automobilistico, aeronautico, ecc. Questo senz'altro lo si dovette ai consolidati esempi dell'industria americana, che ­ a partire dai primi anni del New Deal ­ si è sviluppata incessantemente fino a condurre la propria tecnologia a stadi di avanzata realizzazione in campo nucleare, missilistico e spaziale, divenendone il massimo punto di riferimento.
Per ricollegarci al tema monografico della rivista, la stessa ex URSS per anni è stata all'avanguardia nel calcolo strutturale attraverso studiosi quali S. Timoshenko, V.I. Feodosev, Juravski, ed altri. Dal varo delle prime pjatilekta (in specie la seconda che pose l'URSS alle spalle dei soli Stati Uniti per la produzione industriale, 1937) l'esigenza vitale sovietica di costruire macchine che resistessero all'usura e avessero un limite di durata eccezionalmente lungo, poté concretizzarsi solo prendendo come punto di riferimento l'Europa e l'America: le affermazioni nell'industria pesante prima, e bellica dopo, sono note a tutti.
Con questo è doveroso sottolineare quanto sia prudente accogliere tecnologia asiatica che ­ salvo nelle applicazioni informatiche (dove l'elemento meccanico è trascurabile) ­ ci pone seri dubbi sull'effettiva efficacia di una produzione a basso costo che apparentemente migliora l'esistente (sia pure a tempo "determinato"), al contempo provocando un'inutile perfezione di ciò che già è presente sul mercato.
Quest'ultimo aspetto determina un blocco finanziario occidentale delle ricerche innovative (con il contemporaneo abbassamento del costo del lavoro asiatico); di conseguenza eventuali progressi non saranno in grado di manifestarsi nel breve periodo a favore di una spietata concorrenza che le Cinque Tigri (compresa Pechino fra qualche anno) auspicano, in quanto coscienti della loro inferiorità su piano progettuale compensata largamente da un massiccio apporto demografico.
Sui "prodigi" della tecnologia nipponica si legga l'articolo di Mary Jordan e Kevin Sullivan, apparso sull'«International Herald Tribune» del 16 maggio scorso.


GIOVANNI ARMILLOTTA
Albania, ieri ed oggi fra affari esteri e problemi interni

All'indomani del secondo conflitto mondiale, l'Albania ­ unica in Europa ad aver condotto da sola la guerra di liberazione ­ non poteva più essere impiegata come moneta di scambio ed oggetto di mercanteggiamenti da parte delle potenze. Essa era apparsa non più formalmente sull'arena internazionale come Paese libero e sovrano.
Il consolidamento del nuovo Stato albanese (1944-1955) richiedeva anche il rafforzamento della sua posizione geopolitica all'indomani della rottura con l'Unione Sovietica.
Dagli anni Sessanta l'Albania iniziò a stabilire rapporti equi con tutte le capitali (ad esclusione di Mosca e Washington), basando tali relazioni sull'interesse ed il vantaggio reciproci, seguendo il principio di non ingerenza negli affari altrui, e applicando rigorosamente la norma di non dare concessioni, creare società e altre istituzioni economiche e finanziarie straniere o miste «con i monopoli e gli Stati capitalistici, borghesi e revisionisti, come pure ricevere crediti da essi» (1).
Per anni l'Albania non divenne patrimonio dei mass-media, ed ogni tanto ­ se la si sentiva in radio o televisione ­ o era per le classiche elezioni di regime a lista unica, oppure per qualche manifestazione sportiva che vedeva partecipare anche compagini italiane. I drammatici avvenimenti dell'ultimo periodo sono il risultato di un radicale mutamento delle istituzioni che ­ contrariamente agli altri Paesi dell'Est ­ ha scardinato completamente le vecchie nomenclature, rimpiazzate dall'inesperienza di un apparato statale spesso non preparato all'impatto sociale, e principalmente economico-finanziario, di alcuni miti occidentali (arricchimento rapido, consumismo sfrenato, liberalismo privo di sovrastrutture, ecc.). In breve, per dirla con le parole di Elio Miracco, l'Albania 1992-97 è stata «una democrazia, pur con i suoi limiti e le sue difficoltà, uccisa in un isterismo collettivo che non può che portarla alla deriva. In questi momenti non c'è albanese che non rimpianga l'ordine e la stabilità del passato regime» (2), e ciò la dirà lunga alle prossime elezioni politiche fissate per il 29 giugno.
Nell'articolo si esaminerà l'ultimo decennio degli affari esteri albanesi: una serie di ottime affermazioni politiche, le quali, se da un lato hanno confermato la validità storica della diplomazia albanese ai suoi vertici, dall'altro non ha visto soddisfatti in casa i propri sforzi di miglioramento.


Il pragmatismo del comunista Ramiz Alia: 1986-1992

All'avvento di Ramiz Alia (3) ­ succeduto al dominio quarantennale di Enver Hoxha (1944-85) ­ l'imperativo di espandere contatti col resto del mondo rappresentava il maggior stimolo se si voleva migliorare notevolmente la situazione generale. Nello stesso anno il vice ministro della Difesa, e capo di Stato Maggiore, affermò che la sicurezza albanese dipendesse da un attento e costante esame dello scenario mondiale, in modo che l'adozione di misure diplomatiche ­ nei momenti di crisi ­ fosse immediata e decisiva. Migliori rapporti di buon vicinato ­ sosteneva l'alto ufficiale (4) ­ avrebbero consentito al Paese di guadagnare tempo per l'acquisizione di sostegni dall'estero, nonché si sarebbe potuto contare su solidarietà e simpatia dell'opinione pubblica internazionale in caso di invasione (ricordiamo che nell'agosto 1990 l'Albania condannò immediatamente l'Iraq per l'occupazione del Kuwait). In questo modo l'Albania ­ pur militarmente debole ­ avrebbe mantenuto determinazione e volontà nell'organizzare un'efficace rete di guerriglia e resistenza contro eventuali forze occupanti. (A questo proposito ci sembra il caso di rivalutare la fitta presenza sul territorio di migliaia di bunker, strategicamente posti in vicinanza dei confini jugoslavi. Sembra che il presidente Sali Berisha non sia affatto intenzionato ad abbatterli. Berisha, in maniera lungimirante, e tenendo conto della grave situazione in cui versano i Balcani, si rende perfettamente conto che in caso di invasione, i bunker rappresentano l'unica arma "non convenzionale" atta a ritardare gli effetti letali di un'invasione straniera).
Ramiz Alia era particolarmente intenzionato ad introdurre tecnologia occidentale, sebbene le limitate riserve valutarie ed i divieti costituzionali su prestiti e crediti dall'esterno condizionassero non poco le attese dei vertici. Le dichiarazioni pubbliche del leader albanese (5) indicavano nettamente i propri intendimenti, i quali ­ rispetto al passato ­ sarebbero stati improntati a peculiarità di carattere economico che non ideologico.
Fra il 24 ed il 26 febbraio 1988, l'Albania prese parte, a Belgrado, ai lavori della Conferenza fra le sei diplomazie balcaniche, dimostrando flessibilità nell'ottica di una rinnovata politica estera. Tra le altre cose si preferì non inasprire i rapporti con la Jugoslavia riguardo alla Kosova (che però si aggravarono nel febbraio-marzo 1989) (6). Al contempo migliorarono notevolmente le relazioni con Italia, Turchia e Grecia (abrogazione da parte di Atene, 28 agosto 1987, dello stato di guerra con l'Albania in vigore dal 1940). I ministri degli Esteri balcanici si ritrovarono a Tirana il 24-25 ottobre 1990: chiaro segno della massima disponibilità albanese ad un confronto pacifico e costruttivo.
Già prima si erano ufficializzati i rapporti con Spagna (1986), Canada, Uruguay (1987). Nello stesso periodo con la Germania Federale si addivenne ad un accomodamento sulla questione delle riparazioni per i danni di guerra. Bonn e Tirana si accordarono sull'assistenza tedesca nel settore agricolo, sul riammodernamento del sistema dei trasporti, di quello militare, e nel 1989 la Germania concesse un prestito di 20 milioni di marchi (7). Lo stesso ministro degli esteri tedesco-federale, Hans-Dietrich Genscher, aveva visitato l'Albania, accolto da Alia (23 ottobre 1987). Ventitré giorni dopo fu la volta del presidente del Governo regionale della Baviera, Franz Joseph Strauss.
Pure con i Paesi del Patto di Varsavia si notarono notevoli aperture. Il ministro degli Esteri tedesco-democratico, Oskar Fischer, effettuò un viaggio a Tirana nel giugno 1989, ricevuto personalmente da Alia; seguirono accordi commerciali con alcuni Stati dell'Est ed anche col COMECON (8). Inoltre si segnalò l'innalzamento delle relazioni albano-bulgare a livello d'ambasciatori sospese per vent'anni dall'esecutivo di Sofia (26 gennaio 1988) (9); lo stesso dicasi per Angola e Ungheria; e volontà da parte polacca, cecoslovacca e della Romania (10) di migliorare i rapporti (1988) (11). Con Bucarest i contatti divennero eccellenti l'anno dopo: l'Albania fu uno dei primi Stati a solidarizzare con gl'insorti che abbatterono Ceausescu (dicembre 1989). I rapporti con la Cina ripresero in un clima di cordialità, ma fra le due visite reciproche di alte personalità (marzo '89-agosto '90), l'Albania non risparmiò il duro biasimo per la strage di Piazza Tian An Man del 3-4 giugno 1989, rimanendo il solo Stato socialista ad assumere tale atteggiamento. Il miglior risultato nei confronti delle diplomazie orientali resta senza dubbio la ripresa delle relazioni con l'Unione Sovietica, dietro il riconoscimento di Mosca delle colpe per la rottura fomentata da Chrušcëv nel 1961 (12).
Il viaggio del Segretario Generale dell'ONU, Javier Pérez de Cuéllar, in Albania (11-13 maggio 1990) risultò foriero di effetti. A Tirana, per la prima volta, si svolse un incontro fra le Commissioni UNESCO dei Paesi balcanici (6-9 giugno 1990). Sull'ala dei risultati conseguiti, Alia si portò a New York per la XLV sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU (inaugurata il 18 settembre). Pronunciò un discorso (13) che ­ ultimo notevole atto precedente la scadenza del mandato presidenziale ­ descrisse l'acme del proprio pragmatismo: egli ribadì gl'impegni ad inaugurare un'attività diplomatica di largo respiro, totalmente disgiunta da pregiudiziali politiche. Non trascorse molto che l'Albania entrò a far parte della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (19 giugno 1991), dopo aver firmato l'Atto Finale di Helsinki del 1975. Fra il 1989 ed il 1992 la diplomazia d'oltradriatico siglò tre importanti convenzioni internazionali sugli armamenti (14).
La visita del segretario di Stato americano, James Baker, a Tirana il 2 giugno 1991, inaugurò una serie di contatti che poi hanno condotto l'Albania a varare lungo il 1991 intese con Città del Vaticano, Comunità Europea, Repubblica di Corea (sud), Israele e Gran Bretagna.


La presidenza del democratico Sali Berisha: 1992-1997

L'avvento del quarantacinquenne Sali Berisha (confermato per un altro quinquennio nello scorso marzo) ­ medico senza pratica politica, ma di grandi personalità e determinazione ­ fu mediato dall'alacre attività dell'esperto Alia, il quale lasciava al successore le solide fondamenta di un mirabile lavoro diplomatico, frutto di un'avita conoscenza plurisecolare in fatto di gestione dello Stato ed equilibri internazionali.
La soluzione della spinosa questione di Corfù (maggio 1992) (15); l'appianamento di aspri contenziosi con la Grecia (1993-95), derivati dalla forte minoranza ellenica in Albania; le ottime relazioni con i Paesi balcanici (1992-97); la contemporanea richiesta di peacekeeping forces dell'ONU per proteggere gli Albanesi di Kosova, e Macedonia (pari al 21% della popolazione); la creazione, assieme a dieci Stati (16) del Black Sea Economic Co-operation Group (3 febbraio 1992) e ­ d'intesa con il Gulf Co-operation Council ­ della Arab Albanian Islamic Bank (settembre 1992); l'accoglimento nell'Organizzazione della Conferenza Islamica (dicembre 1992); l'ammissione, come Stato associato, alla North Atlantic Assembly (organizzazione interparlamentare della NATO, maggio 1993); la visita di eminenti personalità (1992-97); i viaggi di Berisha all'estero nello stesso periodo, dànno l'idea di rapidità di mosse e iniziative di una dirigenza che, rinnovatasi ­ contrariamente agli altri Paesi ex comunisti ­ punta decisamente ad una radicale svolta politico-economica.
La stessa richiesta di aderire alla NATO (16 dicembre 1992) (17), dopo la politica autarchica del passato, è una sterzata apparente, in quanto la sicurezza che ieri offriva l'isolamento contro i blocchi compatti jugoslavo e sovietico, oggi è rappresentata da un forte alleato che tenga a freno lo sciovinismo di una Penisola balcanica mai così insanguinata sia all'esterno che all'interno dei rispettivi Paesi che la compongono.
L'Albania ha rapporti diplomatici con ben 144 Stati (18).


I grandi uomini albanesi del passato

L'elenco si apre con Diocleziano (285-305), di origine illirica; egli «s'impadroniva del titolo imperiale, armato da una ferrea volontà di riordinare lo Stato romano e di ristabilire nella sua pienezza l'autorità e il prestigio del potere centrale» (Renato Fabietti). Inoltre ricordiamo l'imperatore romano d'Oriente, Anastasio I (491-518), di Durazzo; esperto amministratore, valido legislatore, nonché abile stratega (la stessa madre di Alessandro Magno era epirota).
Proseguiamo con Gjergj Kastrioti Skënderbeu (Scanderbeg), già principe, generale e governatore ottomano di sangiaccato, e poi alfiere dell'indipendenza albanese (1443-68), riconosciutagli nel 1461 dal sultano Maometto II, che lo intitolò Principe d'Albania e di Epiro.
Gran Visir della Porta: Sinàn Pasha il Grande (1560-1596); famiglia Köprülü: Mehmed Pasha (1657-61), Zàdeh Fàdil Ahmed Pasha (1661-76), Qara Mustafà (1676-89), Zàdeh Mustafà Pasha (1689-91). Capo di Stato Maggiore: Nu'màn Pasha (inizi XVIII sec.). Mohammed 'Alì ­ dal 1805 governatore, e dal '14 Pasha d'Egitto ­, suo figlio Ismà'ìl (khedive dal 1862), e la discendenza, che governò il Paese egiziano per tutto il XIX secolo; Kemal Atatürk era di origine schipetara, mentre Madre Teresa di Calcutta è albanese.


Note

  1. Art. 26/2 della Costituzione del 1976. Torna
  2. L'italo-albanese ( arbëreshë) di Santa Sofia d'Epiro (Cs), Elio Miracco è Accademico d'Albania; la citazione è tratta da Berisha, La colpa d'essere anticomunista, in«L'Italiano», II (1997), N. 12, Aprile, p. 11. Torna
  3. Nato nel 1925. Presidente del Praesidium dell'Assemblea Popolare (carica che comportava anche le funzioni di capo dello Stato): 1982-1991(-1992); primo segretario del PLA, e comandante in capo delle Forze Armate: 1985-1991. Torna
  4. US Department of the Army-Federal Research Division, Albania: A Country Study, Washington, 1994, Evolution of National Security, p.2/3. Torna
  5. V.: Giovanni Armillotta, La politica estera dell'Albania negli scorsi dieci anni, in «Affari Esteri», XXIX (1997), N. 113, pp. 184-5; USDA-FRD, Albania: ..., cit., Foreign Policy, p. 3/6. Torna
  6. Sulla questione kosovara v.: G. Armillotta, Kosova: alla ricerca di una patria. Tra epopea ed ingiustizia, il martirio di un popolo eroico, ne «L'altra Europa» diretta da Costantino Marco, Lungro (Cs), II (1990), N. 5 (7), pp. 21-24; Marco Dogo, Kosovo. Albanesi e Serbi: le radici del conflitto, Lungro, 1992; M. Dogo, Il confine dentro di sé, in «Storia e Dossier», VIII (1993), N. 71, pp. 59-64 (con, dello stesso Autore, Una lunga storia di uomini e frontiere e Una nazione a metà); Marco Invernizzi, Una repubblica in esilio, in «Historia», 1994, N. 433, pp. 27-31; Studio Dossier/Documentazione sulla Kosova, in «Lidhja», diretto da Antonio Bellusci, Cosenza, X(1989), N. 21, pp. 628-643. Sugli Albanesi d'Italia: Alain Ducellier, Les Albanais en Italie céntrale à la fin du Moyen Age: de l'émigration à l'intègration, ne «L'Ethnographie», LXXXV(1989), N. 2, pp. 75-85. C. Marco, La questione arbreshe, Cosenza, 1988; C. Marco, Gli Arbreshë e la storia. Civiltà, lingua e costumi, Lungro, 1996. Torna
  7. USDA-FRD, Albania: ..., cit., Foreign Policy, p. 4/6. Torna
  8. Ivi, p. 4-5/6. Torna
  9. «Zëri i Popullit», 27 gennaio 1988. Torna
  10. Nota a margine è il ritorno della Nazionale olimpica di calcio (dopo ben 17 anni di inattività) proprio contro la pari rappresentativa romena: 1-0 a Kavaja (28 gennaio 1988) e 0-0 a Durazzo (2 febbraio 1988) («Sporti Popullor», XLIII [1988], N. 9 e 11). Torna
  11. «Keesing's», XXXIV(1988), p. 35735; XXXV (1989), p. 36624. Torna
  12. Per i particolari v. G. Armillotta, La politica estera dell'Albania..., cit., pp. 184, 186-187. Torna
  13. USDA-FRD, Albania: ..., cit., Foreign Policy, p. 5/6. Torna
  14. Nel 1989: Protocollo per la proibizione dell'uso bellico di gas asfissianti, velenosi o di altro genere, e dei metodi di guerra batteriologica ( Geneva Protocol, 17 giugno 1925); nel 1990: Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari ( NPT, Londra-Mosca-Washington, 1º luglio 1968); nel 1992: Convenzione sulla proibizione di sviluppo, produzione e accumulo di armi batteriologiche (biologiche) e tossine, e sulla loro distruzione ( BW Convention, Londra-Mosca-Washington, 1º aprile 1972) («SIPRI Yearbook», 1990, p. 640; 1991, p. 670; 1993, p. 765). Torna
  15. Sulla questione di Corfù, v. G. Armillotta, La politica estera dell'Albania..., cit., p. 188. Torna
  16. Armenia, Azerbaigian, Bulgaria, Georgia, Grecia, Moldavia, Romania, Russia, Turchia e Ucraina. Torna
  17. Dal 1994 l'Albania collabora al programma di cooperazione militare NATO, Partnership for Peace. Torna
  18. Evoluzione dei rapporti diplomatici albanesi.1948: con 12 Stati (8.XI);1952: 15 (31.III; l'Italia fu il terzo Paese occidentale, 2.V.1949, dopo Francia e Austria);1956: 18 (25.V);1966: 35 (1º.XI);1976: 74 (1º.XI);1981: 95 (1º.XI);1986; 105 (3.XI);1996: 144 (31.XII). Lista ufficiale delle diplomazie con le quali Tirana intrattiene relazioni. Durante la leadership di Enver Hoxha: Algeria, Argentina, Australia, Austria, Bangladesh, I. Barbados, Belgio, Benin, Birmania (Myanmar), Botswana, Brasile, Bulgaria, Burkina-Faso, Burundi, Cambogia, Camerun, I. Capo Verde, Cecoslovacchia, Centrafricana (Rep.), Cina (RP), Cipro, Colombia, Congo (RP), Corea (RDP), Costa d'Avorio, Costa Rica, Cuba, Danimarca, Ecuador, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Finlandia, Francia, Gabon, Germania Democratica, Ghana, Giappone, Gibuti, Grecia, Guinea, Guinea-Bissau, Guinea Equatoriale, India, Indonesia, Iran, Iraq, Islanda, Italia, Jugoslavia, Kenya, Kuwait, Laos, Lesotho, Libano, Libia, Liechtenstein, Lussemburgo, Madagascar, Malaysia, Mali, Malta, Marocco, Mauritania, I. Mauritius e dip., Messico, P. di Monaco, Mongolia, Mozambico, Nepal, Nicaragua, Niger, Nigeria, Norvegia, Paesi Bassi, Pakistan, Panamá, Perú, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, São Tomé e Príncipe, I. Seicelle, Senegal, Sierra Leone, Siria, Somalia, Sri Lanka, Sudan, Svezia, Svizzera, Tanzania, Thailandia, Togo, Tunisia, Turchia, Ungheria, Venezuela, Viêt Nam (fino al 1976 anche col Governo Rivoluzionario Provvisorio del Viêt Nam del Sud), Yemen (prima dell'unificazione con entrambe le repubbliche: l'Araba e la Democratica Popolare), Zambia, Zimbabwe. Ramiz Alia: Angola, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bolivia, Canada, Città del Vaticano, Comunità Europea, Corea (R), Croazia, Estonia, Filippine, Georgia, Germania Federale, Giordania, Gran Bretagna (45-46, 91), Guyana, Irlanda, Israele, Kazakistan, Kirghizistan, Lettonia, Lituania, Malawi, Moldavia, Palestina, Russia, Sahara (RAD), Singapore, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d'America (45-46, 91), Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina, Uruguay, Uzbekistan. Sali Berisha: Afghanistan, Arabia Saudita, Bosnia-Erzegovina, Ceca (Rep.), Macedonia, Slovacchia. L'Albania è membro delle seguenti organizzazioni internazionali: ONU (Commissione Economica per l'Europa; FAO, IAEA, IBRD, ICAO, IDA, IFAD, IFC, IMF, IMO, ILO-ne uscì nel 1965 per rientrarci negli anni Novanta, ITU, UNESCO, UNIDO, UPU, WHO-ne uscì nel 1950 per rientrarci negli anni Novanta, WIPO, WMO), Black Sea Economic Co-operation Group, Central Europe Initiative(ai primi del 1996), CIO (FIFA/UEFA, ecc.), Consiglio d'Europa, EBRD, ICFTU, IOM, OIC, OSCE ( Archivio di Studî Albanesi, diretto da Giuseppe Montagna, Palo del Colle-BA ­ Filza: Rapporti diplomatici dell'Albania e presenza nelle Organizzazioni Internazionali). Torna

ELIO MIRACCO
L'instabilità dell'Albania: senza cultura europea non crescono le democrazie

In principio gli Albanesi evasero nel '90-91 dal "grande carcere"; definizione che il poeta Visar Zhiti - condannato a dieci anni di dura galera - coniò per l'Albania del Grande Fratello il quale, nella metafora dell'orvelliano romanzo di Ismail Kadare ll palazzo dei sogni (Longanesi, 1991), controllava e uccideva anche i sogni. Quei sogni che per Costantino Marco, scrittore delle comunità arbëreshë di Calabria, la letteratura del realismo socialista non poteva offrire perché: «Tutto, in Albania, era reale, e non solo il socialismo. Insomma, gli albanesi non sapevano più sognare, ma vivevano il sogno come realtà quotidiana». E a un personaggio del suo romanzo Ahlem (Marco, 1995) fa dire: «[...] Non serviva studiare in un mondo dove la carriera e le disgrazie le assicurava il partito». Non sogni di ricchezza, ma di costruzione di nuovi modelli culturali, politici e sociali.
L'Albania, venuto meno lo Stato, offre l'immagine di desolante vuoto, di assenza di un universo spirituale, di orde di sradicati dalla propria terra e di estraniati dal mondo moderno i cui riferimenti sono solo i beni materiali e il consumismo. Perduto anche il senso del clan, che non è più quello antico del Kanun, le leggi consuetudinarie oralmente tramandate e applicate dall'auctoritas dei migliori, il popolo; nelle zone non controllate dal governo, si deve sottomettere al dominio del mediocre, del più forte e all'asservimento del potente di turno, come avveniva nel periodo del comunismo. Più che di clan allora si può parlare di aggregazioni a bande, di minoranze attive che terrorizzano la popolazione. Non solo. La furia delle onde riporta sugli arenili gli ultimi relitti di uno stalinismo nazionale che costruiva seicentomila bunker per difendere «la fortezza del socialismo nel Mediterraneo» dai «revisionisti e dai borghesi». I libri di testo delle scuole - erano gli anni Settanta - riportavano "il pensiero", da commentare in classe, del primo ministro, suicida nel 1981, Mehmet Shehu: «Voi avete due madri, quella che vi ha dato alla luce destinata a morire, e il partito (in lingua albanese di genere femminile, N.d.A.) che non morirà mai».
Distrutto il legame popolo e terra-patria, si instaurò l'innaturale nesso partito-Stato e popolo, con il sofisma «ciò che dice il popolo fa il partito, ciò che dice il partito fa il popolo». Infine, rimasti orfani della madre-partito che li allevava e a tutto provvedeva, i figli delle aquile, senza un nido ed implumi, non riescono a impennare le ali per volare nella democrazia. Occorre la traversata del deserto, lunga e faticosa. Ma quanti si sono incamminati? «Dopo cinquant'anni di sacrifici chi è disposto ad altri sacrifici?», era l'interrogativo che si poneva il giovane giornalista Arben Kondi, nel 1995. Allora la marcia è diventata per alcuni una fuga che li ha trasformati in predoni alla conquista del bottino.
Quattro anni sono stati pochi, ma gli intellettuali albanesi hanno saputo assumersi il gravoso compito? Forse per mancanza di mezzi economici, forse per assenza di idee, forse per interne deficienze della democrazia, forse perché tra il valore della libertà e del lavoro, quale bene del corpo e di soddisfazione dei bisogni materiali, sono stati attratti da questi ultimi, per cui non si sono inseriti attivamente in un tessuto istituzionale democratico, non hanno compreso il loro nuovo ruolo di "sacerdoti laici". Allora al primato della cultura, si è preferito quello più allettante dell'economia impostasi anche sulla politica. Dall'altra parte l'Europa non ha percepito la tragedia culturale dalla quale usciva l'Albania. Anzi crede che il "libero mercato" sia la panacea di tutto, dimenticando che senza la cultura le democrazie sono instabili, non crescono, né si possono sostenere le economie. L'Albania, quale laboratorio dei rapporti tra Nord e Sud del mondo, ha dimostrato che le trasformazioni delle società non possono avvenire solo sulla base materiale, e che le debolezze culturali non si risolvono con la strategia del mercato o il semplice soccorso finanziario, finalizato esclusivamente all'economia. Anche le molte organizzazioni religiose, impegnate soprattutto sul piano sociale, dovrebbero ripensare la loro presenza e attività.
Insieme al grano non è giunta in Albania la cultura europea. Ysuf Vrioni, formatosi nell'ante-guerra in Francia e in Italia, raffinato traduttore che ha contribuito al successo all'estero delle opere di Kadare, già nel 1993 segnalava la fragilità della democrazia, aggredita da molti, per interessi spiccioli e di bottega: «Tutti parlano di democrazia, ma questa resta solo una parola vuota perché manca la sua cultura» e ancora: «Tutti pensano che l'Europa sia solo ricchezza materiale».
È questo il volto dell'altro dramma dell'Albania, terra epica dove ogni atto deve essere eroico, dove la vichiana giovinezza dei popoli è eterna e stenta a diventare maturità. Il dittatore Hoxha l'aveva capito e al particolarismo delle tribù aveva sostituito il collettivismo di un marxismo-leninismo eroico e velleitario, guida e faro del pianeta Terra, distruggendo però la memoria storica e la speranza di entrare nel pensiero moderno, rinchiudendo gli schipetari nell'isolamento culturale e economico. Così continuano a cadere sull'Italia le ultime macerie spirituali e materiali di un passato, abbarbicato nell'inconscio di alcuni e nella coscienza dei nostalgici che non si sono mai rassegnati di aver perso il potere.


RICCARDO MAFFEI
Il parcheggio nel centro storico pisano

Il problema del parcheggio a Pisa è tutt'oggi un problema irrisolto. Lo si vorrebbe affrontare con la creazione dei peraltro necessari parcheggi scambiatori ai margini del centro e la chiusura totale di esso, ma il rischio è che il centro storico si svuoti di attività e di presenze sotto gli aspetti sociali e commerciali. Mentre pare giustificato l'intervento di eliminazione del traffico di attraversamento interno da una zona all'altra del centro, non è ammissibile escludere il raggiungimento dello stesso, anche se va regolato e limitato in funzione della potenzialità di parcheggi interni in zone nevralgiche. Il parcheggio in strutture costruite, sia interrate che fuori terra, è oggi da molti visto come fonte di inquinamento, per il fatto che si portano molte auto a concentrarsi in zone ristrette con le relative manovre al suo interno, mentre è problema superabile garantendo sedi stradali libere, tali da consentire una fluida circolazione, con il vantaggio dell'abbattimento delle barriere architettoniche e visive costituite dalle macchine in sosta in superficie, aree urbane recuperabili alla pedonabilità, al verde attrezzato, all'interazione fra persone, all'arredo urbano in termini di servizi.
Le soluzioni di parcheggio in silos hanno una convenienza gestionale solamente quando sono ben organizzate ed integrate nel contesto cittadino, avendo un sistema organico di segnaletica anche ai margini della città, con chiare indicazioni per il raggiungimento degli stalli liberi, con un efficiente servizio di controllo della sosta abusiva nelle zone prossime ad esso. Occorrono cioè adeguate condizioni al contorno.
Un esempio di soluzione organica, razionale e funzionale è, ad esempio, il parcheggio di Piazza Santa Maria Novella a Firenze e di Volterra; potrebbe esserlo quello in Piazza Santa Caterina, valido perché nel cuore della città, in zona a traffico limitato, con accessi fra il verde.
Per queste realizzazioni è necessario l'apporto di capitali privati e ciò è possibile, sotto l'aspetto di una congrua redditività tramite adeguate convenzioni. Gli impegni vanno garantiti contrattualmente, affidando, se necessario, gli stessi servizi di prevenzione, accertamento e controllo ai concessionari stessi dei servizi.
L'agglomerato urbano non può non essere accessibile con il mezzo privato perché in ogni caso i mezzi pubblici, fra percorrenza, attesa, e raggiungimento della fermata, allungano notevolmente i tempi e non tutte le zone potrebbero essere ugualmente servite.
La richiesta di sosta è differenziata e quindi va calcolata a seconda dell'utenza: residenziale, commerciale, universitaria, ospedaliera, di servizi, ecc.
Per necessità di sosta breve in certe zone è necessario incentivare la rotazione, impedendo che i posti auto siano occupati da auto in sosta per tutto il giorno o per molte ore della giornata. Questo si ottiene introducendo tariffe crescenti, mentre l'effetto opposto si può ottenere con l'introduzione di tariffe convenzionate.
Per il pagamento delle tariffe, speciali macchine rilasciano il biglietto con l'indicazione del posto (numerato) che occupa la vettura, dell'orario di arrivo e di partenza e segnalano tutti i dati ad un computer centrale il quale in base a dati standard per i vari periodi è in grado di lanciare segnali di allarme a personale addetto al controllo, qualora risultasse improbabile la non prenotazione di spazi sosta. Le aree sosta in superficie, saranno in ogni caso tutte segnate e valutate in relazione alla destinazione urbana da un punto di vista della rispondenza alle normative e di arredo urbano. I residenti, nonché gli operatori economici potrebbero avere a disposizione un posto in silos, numerato, in prossimità della loro attività, dietro rilascio di apposito tesserino a scadenza annuale.
Attraverso una buona analisi ed una scelta progettuale supportata da controlli ed agevolatori (segnaletiche) è possibile ottenere un elevato grado di utilizzo e quindi assicurare la necessaria redditività.
Per ottimizzare il servizio offerto dai parcheggi in silos è oggi possibile ricorrere a tecnologie innovatrici offerte dalla telematica. Gestire la mobilità urbana vuole dire gestire tutto il territorio urbano. A tal fine sono di grande efficacia i pannelli a messaggio variabile che indirizzano gli automobilisti, attraverso gli accessi al centro dalle tangenziali esterne, esclusivamente nei parcheggi presenti e liberi nelle varie zone, indicandone le caratteristiche, nonché la capienza aggiornata in tempo reale.
È evidente che le soste non potranno essere libere e gratuite nel centro, neppure in piccole percentuali; questo per evitare un incontrollabile flusso di veicoli.
Per raggiungere questi obiettivi pare interessante ricorrere a parcheggi in autosilos meccanizzati automatizzati, nei quali l'utente mette l'auto spengendo il motore all'ingresso prelevando l'auto all'uscita, dopo che tutti i movimenti, dalla collocazione nel posto alla consegna all'uscita, avvengono grazie ad un sistema meccanizzato automatico che consente all'auto movimenti sia su piano orizzontale che verticale, con soluzioni che richiedono minimi spazi. Tutti i movimenti sono gestiti da computer.
Questi sistemi comportano limitate spese gestionali di personale, elevata densità a parità di volume rispetto alle soluzioni tradizionali, pressoché nullo inquinamento da scarico auto, esclusione di pericolo di incidenti e furti.
Saranno invece preferibili parcheggi a rampe in zone dove il parcheggio ha grande richiesta di entrata o di uscita in ore di punta. Sarà inoltre necessario procedere allo studio di una nuova filosofia di uso del mezzo pubblico che preveda l'uso di mezzi leggeri e convenzioni a pacchetto completo da stipulare con Usl, Università ed altri Enti al fine di garantire collegamenti specifici in orari di punta fra i parcheggi scambiatori ed i rispettivi poli di interesse presenti nel centro.
Questi cenni sul piano tecnico sono stati dati unicamente al fine di far comprendere che mentre a Pisa si continua a parlarne, altrove il problema è già stato risolto o è in via di rapida soluzione.


BARBARA BUCHIGNANI
Pisa, capitale mondiale dell'editoria esperantistica

Presso la Biblioteca Universitaria di Pisa è consultabile un piccolo vocabolario albanese-esperanto edito da una nostra casa editrice: la Edistudio.
Volendo indagare oltre, apprendiamo che la Edistudio diretta da Brunetto Casini, noto e apprezzato grafico pisano, è la maggiore casa editrice a livello mondiale per ciò che concerne testi di studio in esperanto e per l'esperanto con ben cinquanta titoli, più una decina in italiano.
Casini si è diplomato in esperanto nel 1970 presso la nostra Università, e ha quindi ricoperto e ricopre ruoli di prestigio nella Universala Esperanto-Asocio (UEA); innanzitutto è da rilevare l'incarico dal 1974 all'83 di segretario generale della Gioventù Esperantista Internazionale con sede a Rotterdam, nonché la sua partecipazione ai più importanti Congressi mondiali.
La Edistudio ha varato la propria attività ventidue anni fa con Il dolore di Giuseppe Ungaretti, tradotto in esperanto. Il catalogo nel corso del '96, tra gli altri, si è arricchito di due titoli fondamentali per la materia: Carlo Minnaja, Vocabolario Italiano-Esperanto (1438 pagine; il maggiore dei dizionari internazionali per Paese), e Umberto Eco, La sercado de la perfekta lingvo. Per quest'anno, è prevista pure l'uscita della biografia dell'ideatore dell'esperanto, Zamenhof, scritta dai francesi René Centassi e Henri Masson. Indubbiamente un ennesimo patrimonio culturale di cui soltanto pochi addetti ai lavori erano fin'oggi al corrente.
Fra gli Autori presenti nel catalogo della casa editrice, e che scrivono per la Edistudio annoveriamo: Julius Balbin, Dino Buzzati, Joseph Gamble, Upendronath Gangopaddhae, Fulvio Tomizza, Franz Kafka, Rudyard Kipling, Ulrich Lins, il grande linguista italiano Bruno Migliorini, Nikola Rasic, Giuliana Rossoci Bastogi, Poul Thorsen, Bruno Vogelmann, ecc.


Che cosa è l'esperanto?

Una lingua artificiale che ha suoni e parole comuni a tutte le lingue europee e che, secondo il suo creatore, il medico ebreo-polacco Ludovico Lazzaro Zamenhof (1859-1917), è destinata ad essere universalmente adottata per le relazioni fra i popoli (1887).
Presenta grande semplicità di regole grammaticali e fonetiche: le radici delle parole studiatamente ricavate dal grembo delle lingue più in uso e le parti del discorso acquistano un valore e un significato grazie alla terminazione aggiunta alle suddette radici, in modo che i vocaboli terminanti per "o" sono sostantivi; per "a", aggettivi; per "e", avverbi; per "i", verbi.
L'esperanto si chiama in tal modo dallo pseudonimo (Doktoro) Esperanto = "colui che spera", assunto da Zamenhof. Uno dei suoi ovvi vantaggi è che non ha eccezioni alle regole, e mancano verbi irregolari, anomali, ecc.; e gli stessi verbi hanno una sola chiusura per i tre tempi. L'alfabeto comprende 28 lettere, corrispondenti ad altrettanti suoni. Ad oggi possiamo affermare che tra gli oltre tremila tentativi di lingua universale nati nei secoli, l'esperanto sia l'unica adottata con successo.


Alcuni libri della Edistudio

Passiamo in rassegna le pubblicazioni della Edistudio, che distribuisce anche alcune altre piccole case editrici esperantiste, e scopriremo che vuol dire essere la prima casa editrice del mondo specializzata in testi scientifici e di apprendimento riguardanti l'esperanto. Abbiamo consultato il suo catalogo alla pagina internet http://www.edistudio.it


Poesia


Prosa


Antologie


Teatro


Saggi


Didattica e Vocabolari

Inoltre, sono presenti dodici edizioni musicali di canzoni originali e tradotte dalle culture di tutto il mondo.


ALESSANDRO VERGINE
La dietologia come vera scienza

In un Paese dove i calciatori scrivono libri che in ventiquattro lezioni ti "trasformano" in Maradona... in un Paese dove gente analfabeta dello spettacolo vende migliaia di biografie narranti vite squallide e amorali... in un Paese dove comici di mezza tacca stampano più libri di un cattedratico... in un Paese dove sta emergendo il nuovo mestiere di scrittore-libri-per-conto-terzi... è nata la figura del/la dietologo/a ignorante e non qualificato/a, magari forte della terza elementare e l'esperienza de relato di qualche parente diplomatosi alle serali a furia di frettolosi panini sullo stomaco.
Basta sfogliare quei periodici d'infimo profilo e grande tiratura, per scoprire quanti genî della medicina si esaltano tra le pagine di riviste a buon mercato alla ricerca del gonzo da spremere, oppure del politico che ti sponsorizza il volume di baggianate.
In genere i migliori e gli eccellenti non li ascolti presso i salotti televisivi; gli ottimi sono messi da parte a conferma del noto passo di Platone: «levare di mezzo nascostamente tutti è assoluta necessità per il tiranno, se ha da avere in sua mano il comando, sino a tanto che né tra amici, tantomeno tra nemici non resti alcuno che valga qualcosa» (La Repubblica,VIII-17).
Purtroppo mi rendo anche conto che i congressi di medicina non sono una platea di richiamo massivo, per cui soltanto il fortunato - medico o meno - che ha la possibilità di accedervi può disporre di un parco bibliografico esaustivo.
Ed è proprio in un convegno ho scoperto il Manuale dietetico della dottoressa Graziella Tedeschini. Alle domande, relative alla dietologia risponde un libro preciso, che - non appena lo si cominci a leggere - risulta immediatamente indispensabile.
Medico, studioso, ed eccellente amministratore, la dott. Tedeschini dirige dal 1993 lo stabilimento Fonte Pudia di Arta Terme (Udine). Come medico, cura e previene l'obesità, i disturbi connessi, i disagî delle persone di ogni età; come studioso s'interroga da un lato sulle cause del peso in eccesso, dall'altro sulla possibilità di dimagrire senza traumi attraverso diete piacevolissime.
È impossibile, se non si legge questo libro, immaginare quante cose ci siano da imparare e capire in proposito. Il Manuale non è una sfornata di "consigli", bensì un discorso rigorosamente scientifico anche se la chiarezza espositiva e la gradualità delle argomentazioni lo rendono comprensibile a un pubblico di lettori pure completamente sprovvisto di elementi conoscitivi chimichi e biologici. Scopo del libro è aiutarci ad intendere e dunque, in qualche misura, a decidere il proprio destino dietologico ed estetico.
Presentato dal Prof. Andrea Benedetti, ordinario di endocrinologia presso l'Università degli Studî di Trieste, il volume è diviso in tre parti: i) princìpi generali della nutrizione; ii) dietetica e terapie naturistiche; iii) cibi e ricette (antipasti, minestre, carni, pesci, uova, formaggi, verdure-ortaggi-legumi, salse, frutta fresca, frutta secca / candita / caramellata); segue una ricca appendice riguardante le cure termali di Arta, ed in conclusione una bibliografia completa per chi volesse approfondire qualsiasi tema.

G. Tedeschini, Manuale dietetico per l'autoregolazione del peso corporeo, Piccin, Padova, 1994, 2a ed., pp. 260


© Giovanni Armillotta, 1999