Giovanni Armillotta
(Ricercatore
alle Università degli Studi di Pisa e Cagliari)
RAPPORTI TRA FASCISMO E ISLÀM IN UN VOLUME DI ENRICO GALOPPINI
Il fascismo e lIslam,
Edizioni AllInsegna del Veltro, Parma, 2001
Se ci accontentassimo degli schemi preconcetti
condizionati dalle dicotomie assurte nel secondo dopoguerra a valore di dogma
destra/sinistra, razzismo/antirazzismo, colonialismo/terzomondismo eccetera
faticheremmo davvero non poco a darci ragione di un complesso rapporto,
tra luci ed ombre, spesso contraddittorio, talvolta entusiasta e sincero, che
vide protagonisti personaggi e situazioni che animarono una tempèrie
per la quale, col senno di poi, è stata coniata da storici forse più interessati
a fornire materiale utile alla cronaca mediorientale che al servizio della Verità,
lingenerosa espressione di filofascismo arabo. Indubbiamente,
sia la parte fascista che quella arabo-musulmana da considerare nella
loro complessità e da non ridurre quindi a blocchi monolitici perseguivano
obiettivi di fondo differenti, ma è sulla via del loro raggiungimento che si
trovarono a percorrere in compagnia alcuni tratti di strada.
Se le delusioni generate dai diktat della Conferenza della pace di Versailles
(19 gennaio-28 giugno 1919) egemonizzata da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia
che per lItalia si tradussero nello smacco della cosiddetta vittoria
mutilata e per il mondo arabo-islamico sancirono il tradimento delle aspirazioni
allindipendenza allinsegna dellarabismo e dellIslàm
avevano già creato un primo terreno dincontro tra due realtà emergenti,
fino a tutti gli anni Venti la politica estera del fascismo è estremamente prudente,
ma è a partire dai primi anni del decennio successivo e specialmente dopo la
guerra dEtiopia del 1935-36 (presentata ai musulmani come un riscatto
dalle vessazioni perpetrate ai loro danni dal Negus) che una strategia mediterranea
apertamente filo-islamica e perciò anti-francese e anti-inglese (non si dimentichi
che allepoca sia il Maghreb che il Mashreq arabi erano, secondo modalità
differenti, sotto il controllo anglo-francese) viene adottata con sempre maggiore
audacia: si dà un maggior impulso agli studi arabi e dislamologia, sintensificano
le iniziative di penetrazione culturale e ideologica (la Fiera del Levante dal
1930, i Convegni a Roma degli studenti asiatici del 1933 e del 1934, le pubblicazioni
bilingue italiano-arabo come Italia Musulmana, Mondo Arabo e LAvvenire
Arabo, le trasmissioni in lingua araba di Radio Bari dal 1934) e si diffondono
movimenti ed organizzazioni arabe, soprattutto giovanili, fra cui ricordiamo
il Partito Giovane Egitto (Hizb Misr al-Fatâ) di Ahmad Husayn e le Falangi
Libanesi (al-Katâib al-Lubnâniyya) di Pierre Jumayyûl tra i primi,
le Camicie Verdi (al-Qumsân al-Khadrâ) e Le Camicie Azzurre (al-Qumsân
az-Zarqâ), entrambe egiziane, nonché varie associazioni scoutistiche
(al-Jawwâla), tra le seconde, che guardano, magari confusamente, al fascismo
come modello. In altri casi, invece, il motivo ispiratore era costituito dal
nazionalsocialismo: citiamo il Partito Nazionale Sociale Siriano (al-Hizb
al-Qawmî as-Sûrî al-Ijtimâî) di Antwân Saâda, le Camicie di
Ferro (al-Qumsân al-Hadîdiyya) a Damasco e ad Aleppo, lirachena
al-Futuwwa, la cui etica traeva origine da quella degli ordini cavallereschi
del medioevo islamico. Ma è con gli ambienti delle corti delle entità statali
allora indipendenti (spesso solo formalmente) e non con fazioni minoritarie
ed estremiste che il fascismo, realisticamente, preferisce intessere relazioni
che in special modo sul piano commerciale determinano posizioni di tutto rispetto:
lo Yemen dellimâm Yahyà è un protettorato italiano di fatto (il
Trattato damicizia e di relazioni economiche del 1926 è rinnovato nel
1937) e buoni rapporti vengono stabiliti sia con Re Fuâd dEgitto
che con il sovrano dellIraq Faysal Ibn Husayn, mentre a riprova dellimportanza
degli apporti sanitario e tecnico-scientifico italiani nel mondo arabo basti
rammentare la missione medica permanente presso limâm dello Yemen,
lOspedale Italiano di Ammân, lambulatorio di Jedda e lassistenza
aeronautica fornita ad Ibn Saûd per tutti gli anni Trenta.
Sul finire del decennio e con la guerra poi quando a tutte queste ottime
relazioni gli Alleati impongono ricatti e pressioni il filo-islamismo
del regime mussoliniano, fin lì improntato ad una buona dose di pragmatismo,
si fa, per così dire, ideologico (il fascismo come Islàm del XX secolo
è uno degli slogan coniati in quel clima), ma è solo in sporadiche occasioni
(ad esempio la fallita rivoluzione irachena di Rashîd Âlî Al-Gaylânî e
degli ufficiali del Quadrato dOro appoggiata dallAsse
nellaprile-maggio 1941) e comunque con scarsa convinzione, che il fascismo
e alcuni settori del mondo arabo-musulmano desiderosi di liberarsi dal controllo
franco-inglese riescono ad intraprendere iniziative di un certo rilievo. Tra
gli interlocutori arabi di spicco che privilegiarono lalleanza (più pragmatica
che ideologica) tra il fascismo e lIslàm mal riponendo tra laltro
le loro speranze in un altrettanto netto rifiuto dellentità sionista che
lentamente ma inesorabilmente andava costituendosi in Palestina ricordiamo
innanzitutto il Gran muftî di Gerusalemme Hâjj Amîn al-Husaynî
(1893-1974), fautore di unimpostazione arabo-islamica e non strettamente
nazionale della lotta di liberazione del Dâr al-Islàm dalle ingerenze
straniere, lemiro druso Shakîb Arslân (1869-1946), uno dei principali
esponenti della corrente riformista della salafiyya che a Ginevra dirigeva
La Nation Arabe, Muhammad Iqbâl (1877-1938), il padre spirituale
del Pakistan, che ebbe parole delogio per lapertura nei confronti
dellAsia suggellata dal Duce con il discorso del 18 marzo 1934 sullespansione
pacifica dellItalia in Oriente.
Sbaglierebbe poi chi astraendo dal contesto storico di questa vicenda
individuasse nellantisemitismo il collante di queste pur vaghe
simpatie reciproche: esso non è mai stato proprio né di arabi né di musulmani
e per il fascismo, fu il tardivo, minoritario e strumentale frutto dellalleanza
politica con la Germania hitleriana, ed è altresì da ricordare che le comunità
ebraiche tradizionalmente residenti in Palestina convivevano pacificamente da
tempo immemorabile sia con la maggioranza araba musulmana che con la minoranza
araba cristiana.
Che si trattasse di un filo-islamismo ondivago e contraddittorio lo dimostra
inoltre la politica islamica perseguita dal fascismo in Libia, dove
i nodi di quella che spesso appare una strategia volta più che altro a contrastare
legemonia franco-inglese nel Mediterraneo e a gestire le popolazioni musulmane
delle colonie (Libia, Eritrea, Dodecaneso, poi Etiopia e infine Albania) vengono
al pettine. Qui lIslàm è sì incoraggiato fino al punto da rendere
difficile la vita a chi scorse loccasione di una nuova evangelizzazione
dellAfrica del Nord con iniziative volte al sostegno della vita
religiosa locale (restauri e costruzioni di moschee e di scuole coraniche, assistenza
per i pellegrini alla Mecca, apertura della Scuola Superiore di Cultura Islamica
a Tripoli), ma è soprattutto uno strumento dordine, progressivamente costretto
alla sfera privata in ottemperanza a quel reddite ergo Cesari che poco
si adatta allintima essenza dellIslàm. Anche il fascismo quindi
tra i cui elementi costitutivi è da annoverarsi lavversione a molti
dei principi dellIlluminismo e ad un certo progressismo
in Colonia finì per appiattirsi nella riproduzione della retorica del progresso
(dello sviluppo diremmo oggi) allestendo la versione in camicia
nera della missione di civiltà, compreso limprescindibile
bagaglio di buone intenzioni insito in ogni impresa doltremare.
Il viaggio di Mussolini in Libia nel marzo 1937 un premio
per un popolo che con i contingenti di ascari aveva dato un contribuito fondamentale
alla conquista dellImpero -, culminato con la consegna al Duce della spada
dellIslàm, aprì in realtà una nuova e più massiccia fase dinsediamento
di coloni italiani sulla Quarta sponda (i Ventimila
del 1938), evento che non poteva non preoccupare i fautori dellintegrità
etnica e culturale della Patria araba (al-watan al-arabî), in
primis i contigui nazionalisti tunisini del Neo-Dustûr di Habîb Burgîba,
saltuariamente accostatisi al fascismo.
Un giudizio complessivo quindi, deve rilevare che lazione filo-musulmana
del fascismo (o filo-araba, quando lelemento razza
cominciò a pesare di più in seguito allavvicinamento alla Germania) si
risolse soprattutto in unattività di propaganda e di disturbo (persino
linsurrezione palestinese del 1937-39 non venne sostenuta con particolare
entusiasmo) volta ad accaparrarsi la simpatia delle popolazioni musulmane del
Mediterraneo, centro di gravità del rinnovato Impero di Roma, le
quali tuttavia deluse da chi si era mangiato tutte le promesse fatte
a suo tempo scorsero in questi proclami la possibilità di riuscire a
condurre a buon fine la lotta di liberazione anticoloniale, poi proseguita nel
secondo dopoguerra dai campioni dei panarabismo (Jamâl abdel-Nâser ed
i suoi epigoni), tacciati di volta in volta non a caso dalla propaganda
dei loro avversari di fascismo, se non addirittura additati a nuovi
Hitler.
Ad ogni modo, leggendo i non pochi scritti editi nellItalia tra le due
guerre mondiali nel clima della ricerca di unintesa con lIslàm,
si può evincere quanto i toni della polemica (che è bene che ci sia, per carità)
sullodierna presenza islamica in Italia e i timori instillati da chi ha
interesse ad agitare ad ogni piè sospinto lo spauracchio dellintegralismo
islamico siano lontani dallimpostazione data allepoca alla
delicata e fondamentale questione dei rapporti tra lItalia (e lEuropa
quindi) e lIslàm, tra lOccidente e lOriente.
Enrico Galoppini, Il fascismo e lIslam, Edizioni AllInsegna
del Veltro, Parma 2001 (Viale Osacca, 13 43100 Parma tel. e fax
0521/290880; insegnadelveltro@libero.it),
pp. 166, £. 24.000, € 12.39).
Su questioni mediorientale: Giovanni Armillotta, Egitto. Affari Esteri 1967-1986, Edistudio, Pisa, 2001
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